I miei genitori avevano una casa, poi venduta ad una simpatica famiglia numerosa per gioia della vicina che ci tormentò per sei anni e che poi ebbe un esaurimento nervoso.
Era grande, panoramica, e con un bel posto auto proprio di fronte al portone. I posti erano stati sorteggiati e quindi, per loro fortuna, i miei avevano uno dei migliori del palazzo. Per coincidenza, era pure uno dei due riparati dalla pioggia così che potevi caricare e scaricare le cose senza farti la doccia.
Ovviamente la cosa non andò molto a genio a un vicino, un tizio che aveva un negozio di frutta e verdura locale che sistematicamente parcheggiava dove non doveva adducendo una serie di scuse utili: la carrozzina del pupo, il passeggino dell’altro, le cassette di frutta e verdura del suo negozio, la suocera che se faceva due passi si sentiva male ma poi se ne andava in giro a raccogliere verdura selvatica (il posto era in una sorta di semi-campagna) e poi lo sfacciatissimo: “Eh, ma perché io mi devo bagnare mentre mi porto la roba nella cantina? Voi non avete i miei pesi! E fatevi due passi!”.
Ogni giorno non c’era mai verso di trovare il nostro posto auto libero. Mai. Dovevamo suonare, scampanellare per ore e poi prenderci dei maleducati perché lo facevamo all’ora di pranzo o nelle ore di riposo (quando tornavamo). Alcune volte pretendeva pure di non muovere la macchina e rispondeva sempre un sufficiente: “Posteggiate nel mio e amen, non fatela lunga”.
I miei, prima di vendere la casa decisero di prenderne un’altra molto più isolata e quindi ci traferimmo altrove.
Il posto auto conteso quindi era libero. Quasi sempre.
Un giorno il caro vicino iniziò a dire che potevamo fare cambio con il suo, visto che andavamo più raramente, e che il posto ormai era suo. Ovviamente i miei gli risero in faccia. Iniziò una guerra per quel posto, con questa sfacciata faccia di cul* che era sempre nel nostro e lasciava libero il suo. Se qualche altro vicino si azzardava a metterla nel nostro posto libero finiva a urla e casini. Suoi, ovviamente.
Allora mio padre perse una pazienza che io avrei perso molto prima e trovò una soluzione brutale: piantò un palo di ferro in mezzo al posto segnato. Proprio in mezzo. Se aveste presente come era fatto il parcheggio vi rendereste conto che non poteva dare fastidio a nessuno (e infatti nessuno disse niente) ma rendeva impossibile parcheggiare. Ovviamente anche a noi, che le poche volte che ci recavamo nella casa ci facevamo due passi (era pieno di posto attorno, stavano pure costruendo) senza sentirci particolarmente turbati dalla cosa e anzi, molto soddisfatti del suo sbavare rabbia e sempre volerci dire “due paroline” a cui rispondevamo solo alzando il dito medio.
Mio padre rimosse il paletto solo dopo la vendita e sono sicuro che il vicinastro non ha provato a fare lo stronzo con il bel tizio a cui abbiamo venduto.
E poiché la faccia di cul* della gente non ha limiti, costui per mesi ci ha addirittura raggiunto per telefono per insultarci, sostenere che avesse pure qualche diritto per il suo continuo uso della nostra proprietà. Una cosa comica e senza fondamento, ovviamente, e tutto questo solo perché gli pesava il culo a fare 200 metri per arrivare al portone e il nostro posto era più comodo del suo.
Morale della favola: mai fare prendere vizi alla gente. Mai. Ed è il caso di essere chiarissimi. Educati ma chiarissimi.
Al limite ti penti del contrario.
[precisazione doverosa: storia molto vecchia e non so perché i miei non abbiano poi optato per una soluzione migliore. In realtà non pensarono di chiudere subito lo spazio perché, andando via di fatto, sembrava loro gentile lasciare la possibilità di usare il posto comodo per le operazioni di carico e scarico della spesa, ad esempio, a disposizione di tutti i vicini]
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