L'erba del vicino non è sempre più verde

Storie dal vicinato

Il sacco nero e il sentiero oscuro

Sto per incamminarmi lungo il sentiero sopra le case costruite a picco sulla baia.

È una stradina che parte in salita, una lingua stretta di cemento usurato e crepato che si inerpica prepotentemente a destra rispetto alla strada principale.

Sulla via si affacciano vecchie case, molte di queste abbandonate dai tempi della guerra degli anni ‘90: i registri immobiliari sono andati distrutti e non si sa a chi appartengano queste vecchie abitazioni in pietra, logore e pericolanti.

Sono le 22 e sto portando fuori i cani, l’unico motivo che può spingermi a fare quel sentiero al buio.

La strada principale che sale sulla collina è senza lampioni e l’ultima volta ho incontrato il pastore tedesco di uno dei pescatori che vagava libero con fare poco rassicurante.

Non ho altre alternative per trovare spazi verdi.

Passo davanti ad una famigliola croata che abita in una vecchia casetta che si affaccia appunto sulla stradina. Stanno giocando a carte e bevendo liquori; mi salutano come al solito, amabilmente. In un attimo sono sopra casa mia.

Proseguo dritto.

Passo davanti alla casa della vecchia gattara. Ciotoline e crocchette un po’ ovunque.

I lampioncini per l’illuminazione della via si fanno sempre più distanti l’uno dall’altro.

A sinistra, a picco, a circa 10 metri più in basso c’è il mare, mentre a destra la collina sale ripida coperta di rovi.

Cammino sulle carrube secche che scricchiolano sotto ogni mio passo.

Davanti a me ora è buio, senza luci artificiali, ma dopo pochi secondi le nuvole in cielo si spostano e scoprono la luna che riesce a illuminare la strada tanto da farmi vedere distintamente, ma solo a tratti, persino la mia ombra.

Sento un rumore, un cigolio, sembrano ruote.

Piccole ruote che passano sulle carrube secche fracassandole…

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Le nuvole ricoprono la luna, ora è dannatamente buio e non capisco cosa sia.

Il mio cane più grande, Penny, si pianta. Ferma, immobile, in attenzione… borbotta e ringhia…

Il mio Spotify cerebrale mette come colonna sonora “Fear of the dark” degli Iron Maiden.

La strada non è più liscia, finita la lingua di cemento inizia un sentiero naturale di terra e sassi delimitati da grossi arbusti e dai pini marittimi che creano una sorta di tunnel.

Sento il cigolio delle ruote sempre più vicino…e intravedo nell’ombra illuminata parzialmente dalla luna, che continua a comparire a tratti, una figura inquietante, bianca, pallida. È la nostra vicina, la signora che vaga da sola per il borgo spingendo un passeggino vuoto.

Un passeggino, simbolo di vita, vuoto…

È molto anziana, ma cammina piuttosto velocemente, quasi fluttuando. Mi ricorda un po’ il sig. Carl Fredericksen.

Ci incrociamo, il suo sguardo è spento, le labbra livide si aprono in un sospiro e sembra voglia dirmi qualcosa.

“Le sac noir” (leeee saaaac nuàaaaar) mi dice in francese, essendo lei belga.

Il sacco nero? Quale sacco nero?

“Le sac noir” mi ripete con un filo di voce. È inquietante, la voce stridula accentuata dalla “R” francese e il suo aspetto spettrale….

Le rispondo con un: “d’accord”….

Lei inizia a borbottare qualcosa… capisco solo “le sac noir”. Ma sembra mi stia mandando a quel paese, con disprezzo.

Ma cosa voleva dirmi? Cercava aiuto? Il sacco nero ? Quale sacco nero? La mia mente suggestionabile pensa proprio a quel sacco nero! Il sacco per i cadaveri….

Ma un cadavere qui dai…. chi mai lo metterebbe in un sacco nero?

Quest’isola è uno dei posti più idonei per occultare cadaveri… piena di nascondigli, dirupi, luoghi inesplorabili dove l’uomo non è in grado di arrivare.

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Un sacco nero, le sac noir…

Ma chi? Chi lo userebbe?

Goran….

Goran è a circa trenta metri più avanti rispetto a me: sta armeggiando con un sacco nero sulla porta di una delle casette di destra.

Una piccola abitazione costruita in pietra con una porta verde, senza serratura. Al centro della porta un leone d’ottone di discutibile gusto.

Goran vestito con una canottiera color carta da zucchero e un costume (almeno credo) a slip nero mi vede e butta il grosso sacco nero appena dentro la casetta lasciando la porta aperta…mi fissa qualche secondo, sembra esitare.

Sembra nervoso.

Io proseguo il mio cammino trainato dai cani. Maledetti mi stanno spingendo verso un epilogo beffardo…

Lui d’un tratto sembra nuovamente imperturbabile, si volta e imbocca deciso la ripida scalinata che va verso il mare, verso casa sua.

In quel momento non posso non vedere.

O meglio, non posso fare a meno di guardare…

La scena che vedo è raccapricciante e non me la sarei mai aspettata .

Goran un marinaio, un ex militare croato, dallo sguardo e dal passato assassino agli ordini di Janko Bobekto.

Sono pietrificato come le vittime di Medusa alla vista della sua testa piena di serpenti.

Due pezzi di carne bianca.

Due petti di pollo rinsecchiti non completamente spennati divisi da un lembo di tessuto nero.

Così si presenta la parte posteriore di Goran che scende velocemente le scale verso casa…

Non capisco se indossi un perizoma o abbia infilato appositamente il tessuto delle mutande o costume all’interno delle natiche.

La natura è impietosa. Si aprono le nubi in cielo e la luna si riflette su quei due pezzi di carne bianca….implacabile il paesaggio si illumina del bianco delle chiappe di Goran.

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Mi volto per non guardare e scorgo il sacco nero aperto sull’uscio della casa, pieno di cime usurate e vecchie reti da pesca; il sacco è poggiato su una carriola.

Frastornato proseguo per il sentiero buio.

Il mio Spotify cerebrale cambia in “Hell’s Bells” degli AC/DC e sento solo le campane a lutto rintoccare.

Il sentiero termina sulla piccola spiaggia di sassi che circonda la baia più piccola dove in una villa a picco sul mare abita la strega del borgo.

Torno indietro….L’ho già incontrata questa mattina e mi ha pronunciato una delle sue profezie.

Sono turbato ancora dalla vista di Goran in perizoma, non posso reggere altre emozioni.

Ritornando quindi sui miei passi la mia attenzione viene nuovamente attirata da qualcosa….

Una striscia nera per terra taglia il sentiero in due.

Non capisco cosa sia, al mio primo passaggio sicuramente non c’era.

Mi avvicino, non potrà esser peggio di quello che avevo visto qualche istante prima.

Sono i miei sacchetti per raccogliere le deiezioni del cane. Il coperchio del contenitore si è svitato e il rotolino di sacchetti è finito a terra formando un serpente lungo due metri.

“Le sac noir”…. o meglio “les sacs noir” I sacchetti neri…

Ecco cosa voleva dirmi…

Raccolgo e mestamente vado a casa accompagnato mentalmente dalle note del pianoforte di Vangelis per la colonna sonora del film “Missing” (per i non cinefili è la colonna sonora utilizzata in “Mai Dire Gol” quando un allenatore veniva esonerato).

**Storia pubblicata con l’autorizzazione del genio di Massimo Atzeni 

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