Centro storico di una grande città del nord.
Palazzo del settecento affacciato proprio sul municipio della città, zona frequentatissima e molto “in”.
L’infame stavolta non è un inquilino ma il proprietario della tabaccheria che occupa il piano terra del suddetto palazzo.
Al primo piano ci abito io, in un bilocale col mio fidanzato, e altri 3 ragazzi in altrettanti mono/bilocali.
Il signor tabacchino, dalle 7:30 di mattina, orario di apertura, fino alle 19:00, orario di chiusura, (sabato e domenica compresi) deliziava l’intera via con concerti a volume esorbitante, eseguiti con la sua maledettissima chitarra elettrica, collegata a un amplificatore e, per non farci mancare nulla, a una drum machine (che simula praticamente una base musicale a percussioni, solitamente batteria), oltre che con odori molesti di certe sostanzine che non sono esattamente articoli di tabaccheria.
Per il primo mese sopporto, dicendomi che vabbè dai, qualcuno si lamenterà prima di me, non ho voglia di inimicarmi i vicini dopo appena un mese dal trasferimento.
Ma passa il tempo e questo non la smette. Ai tempi ero una studentessa universitaria e sebbene non fossi sempre in casa, quando uscivo e quando tornavo, lui era lì con la sua chitarra, imperterrito.
I vicini lavorano dal mattino presto sino a sera e nemmeno se ne accorgono. Le attività limitrofe (tra cui un ristorante) lo trovano solo un tipo eccentrico e anche se i loro clienti ogni tanto si lamentano del volume (e grazie al cà), loro non gli dicono niente.
Succede che una mattina di dicembre, svegliata per l’ennesima volta un’ora prima della sveglia, mi rompo i cosiddetti e vado a parlarci.
Esco dal portone ed entro in tabaccheria. Lui, che non mi aveva mai visto e potevo tranquillamente essere un cliente, nemmeno spegne la musica e continua a suonare mentre, molto pacatamente, gli spiego che si sta avvicinando la sessione di esami e che ho bisogno di un po’ di tranquillità in casa, che se potesse suonare almeno un po’ più piano mi farebbe un favore.
Come mi risponde lui? “In due anni sei la prima che viene a cagarmi il cazzo“, salvo poi spingermi fuori dal locale.
Ottimo, lo stronzo vuole la guerra allora.
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