Quando ho accettato di dividere casa con Beatrice, mi sembrava tutto perfetto.
Educata, ordinata, voce bassa, sempre con un libro in mano e lo sguardo da persona che sa troppo ma non te lo dice.
All’inizio era discreta.
Fin troppo.
Non usciva mai dalla sua stanza quando ero in cucina, ma sapeva sempre esattamente cosa avevo cucinato.
Tipo: io preparo una pasta con tonno e limone.
Lei, la sera dopo, fa la stessa ricetta. Uguale.
E dice: “Che ispirazione mi è venuta, chissà da dove…”
Capitava spesso.
Poi ho iniziato a notare dettagli strani.
Tipo che sapeva se ero stato a correre, anche se non lo dicevo.
Una volta mi ha fatto: “Hai lasciato la porta di casa socchiusa per 14 secondi.”
Ho riso. Lei no.
Poi ho capito: spioncino inverso.
Aveva messo uno specchietto adesivo sottilissimo sopra il suo, e dalla sua stanza vedevo il mio corridoio in tempo reale.
Controllava ogni mio passo.
Un giorno ho lasciato un sacchetto di patatine aperto in cucina.
Me ne sono dimenticato.
La mattina dopo, lo trovo richiuso con una molletta e una nota:
“Conserva meglio il tuo sale.”
Firmato: Nessuno. Ma in corsivo elegante.
Beatrice non parlava mai di sé, ma sapeva tutto di me: a che ora mi svegliavo, che musica ascoltavo, quando lavavo i jeans, e perfino quando ricevevo messaggi su WhatsApp.
(Sospetto leggesse le notifiche riflesse sul vetro della finestra, ma non ho prove.)
Una sera, provo a parlarle.
Mi dice che sono paranoico.
Sorriso calmo, tono gentile.
Poi si alza e va in camera.
Due minuti dopo ricevo un messaggio:
“Hai lasciato la luce del bagno accesa.”
Non gliel’avevo detto.
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