A quel punto, Boyan allontanò un po’ la bambina tornò indietro verso il vicino e gli diede una spinta violenta che lo fece cadere contro il muretto e poi per terra.

Subito dopo cominciò il “festival dell’insulto e delle minacce”. A far da sottofondo il pianto della bambina e degli altri fratelli che, nel frattempo, la madre aveva portato in strada.

Arrivò la polizia, chiamata da qualche vicino e subito tentò di placare gli animi e ricostruire l’accaduto.

Il vicino cominciò a raccontare una marea di cazzate, mentre altri lo sostenevano indicando nel bulgaro l’assalitore. L’italiano un po’ stentato di Boyan non lo aiutava a fare chiarezza sull’episodio: aveva visto sua figlia minacciata di essere presa a schiaffi.

Stavo per scendere in strada (avevo assistito, come altri a tutta la scenda dalla mia finestra). In genere mi faccio i fatti miei ma qui era palese che il vicino stesse cercando di convincere le forza dell’ordine che era stato aggredito improvvisamente e senza alcun motivo da uno zingaro ubriaco.

In quel momento vidi Yuliya che avanzava tra la piccola folla che si era creata. Mentre cercava di zittire il padre che parlava animantamente con gli agenti, notai che aveva un telefono tra le mani. Aveva ripreso tutta la scena.

Fece vedere il video ai poliziotti ed era abbastanza chiaro che Boyan aveva aggredito l’uomo perchè provocato da vicino, come se non bastasse coinvolgendo in quello spettacolo indegno anche la bambina.

La polizia ci mise 20 minuti per calmare gli animi.

Alla fine Boyan rientrò in casa con tutta la sua famiglia non prima di aver parcheggiato meglio la sua macchina. Il vicino, invece, chiamò il 118 e si fece portare al pronto soccorso dove scoprirono che l’uomo aveva un leggero graffio sulla schiena.

Nonostante l’intervento della polizia e dell’ospedale, non ci furono denunce e la cosa finì così.  Posso affermare con sicurezza che da quel giorno ci furono meno liti per il parcheggio.

Di li a poco cambiai casa e non seppi mai più niente di Boyan, Yuliya e della loro famiglia.

Ho sempre pensato che la vita di una persona che porta in faccia i segni idi un’etnia che certamente non si è scelto, deve essere un po’ più complicata della mia.

 

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