Coinquilino apparentemente normale, tendenzialmente silenzioso, lavorava da casa, mangiava pasta al pesto tre volte a settimana.
La convivenza scorreva liscia.
Fino a quando ho iniziato a perdere calzini.
Non tutti.
Sempre uno per tipo.
Mai un paio intero.
Sempre quello destro.
All’inizio pensavo al caso, alla lavatrice che “mangia le calze”, come dicono.
Poi però cominciano a sparire anche mutande.
Solo quelle nuove.
Quelle vecchie, rovinate? Sempre lì.
Una volta ho steso una felpa appena lavata, grigia, la mia preferita.
Il giorno dopo era sparita.
Andrea dice di non averla vista.
La settimana dopo, ne indossa una identica.
Gliela guardo addosso per un minuto intero.
Ha pure il buco minuscolo sulla manica.
Il mio.
Lui nota che la fisso.
Dice: “Ah! Questa? Ce l’ho da anni. Sarà simile.”
Mi viene da ridere. Ma dentro sto urlando.
Decido di fare un test.
Lavo una maglietta bruttina, ma ci infilo dentro un piccolo segno a penna: un puntino blu dentro l’etichetta.
La stendo.
Scompare.
Tre giorni dopo, Andrea la indossa in cucina.
La riconosco subito.
Gli chiedo se è nuova.
“Macché, presa in un mercatino dell’usato.”
Lì capisco: non è caso. È sistematico.
Non lo fa per bisogno.
Lo fa per… abitudine.
Come se dividere casa autorizzasse anche l’appropriazione sartoriale non consensuale.
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