Condividevo casa con Elia.
Sulla carta: tranquillo, lavoratore, vegano.
Nella realtà: sorvegliante calorico con tendenze da setta alimentare.
All’inizio sembrava tutto normale.
Ci si divideva la spesa base: detersivi, carta igienica, sale, olio.
Poi una sera ho ordinato una pizza.
Margherita. Nulla di scandaloso.
Elia si è affacciato dalla cucina e ha detto, serio:
“È questa la tua cena?”
Io ho fatto un sorriso.
Lui no.
Non ha detto altro.
Ma il giorno dopo, al mio posto sul tavolo, ha lasciato un libro:
“L’Influenza Invisibile del Lattosio sulle Emozioni”.
Autopubblicato.
Sottolineato.
Da lì è iniziato il programma educativo passivo-aggressivo.
Ogni volta che mangiavo qualcosa di “non approvato”, partiva il commento sottile.
Tipo che “il glutine interferisce con l’intuizione” o che “le proteine animali abbassano la soglia dell’empatia”.
Un giorno ho cucinato una carbonara.
Pochi minuti dopo ho trovato un bigliettino sul frigorifero:
“Il colesterolo è come un ex tossico: all’inizio ti manca, poi ti rovina la vita.”
Iniziavo a nascondere gli snack.
Mangiavo di nascosto in camera.
Una volta ho addirittura messo la busta del kebab dentro una confezione di insalata.
Mi ha guardato. Ha annuito.
“Bravo, scelte sane.”
Io annuivo, con il chili sauce che mi colava dalla mano.
Il picco è arrivato quando ha organizzato una “giornata detox condivisa”.
Io ho detto no.
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