Non ci credo.
Non avrei mai pensato di finire la mia esistenza in questo modo, beffardo e così banale.
Sto fissando il mio potenziale assassino negli occhi, sembra spaesato, quasi impaurito… forse non capisce nemmeno lui cosa stia accadendo.
L’occhio azzurro vitreo mi fissa, la sua mascella si contrae in una smorfia di panico e terrore.
Non mi sarei mai aspettato che mi avrebbe ucciso così.
Da uno come lui mi sarei aspettato un gesto eclatante. Immaginavo diversamente la mia fine per mano di Dexter; magari legato ad un lettino nel suo garage, sedato, circondato dal nylon per proteggere l’ambiente dagli schizzi di sangue, il mio.
Un rituale pseudo religioso, un taglio di un arto o almeno di un dito, la rimozione di un bulbo oculare, che ne so…. Una cosa da serial killer, un segno distintivo, una firma.
Visto che è un professore di musica avrei potuto anche tollerare di ultimare la mia vita terrena legato con corde di contrabbasso, con delle ance di clarinetto infilate sottopelle.
Morto a colpi di diapason. Ucciso, sventrato e trasformato in uno xilofono osseo. Che cazzo ne so… non sono mica io il serial killer… o forse sì.
Quando ho iniziato a scrivere questi post ho proprio esordito con qualche riga dedicata a lui. Il nuovo inquilino dell’appartamento di fronte. Il degno erede dei suoi predecessori, che, per migliorare la fama di quell’appartamento, poteva essere solo un assassino.
E non mi sbagliavo… Ma così, morire così proprio no.
Uccidermi in maniera vile, come una pantegana, come un topo di fogna che esce dal tombino in maniera del tutto impersonale e senza passione…
Il cerchio si chiude.
E’ sera, sono chino vicino alla mia auto: in uno dei due pneumatici anteriori c’è una fenditura nella parte esterna, probabilmente causata dal bordo rotto e tagliente di un marciapiede urtato mentre facevo manovra.
Il danno è solo superficiale, una sbucciatura che non causerà problemi, bene, posso rientrare a casa.
Sto per alzarmi quando lo avverto. Lo sento. Lo vedo.
Il mio vicino, Dexter.
Si sta inspiegabilmente avvicinando verso di me. Veloce, spedito. Gli occhi spiritati, un braccio proteso in avanti e l’altro piegato come a toccarsi l’orecchio, sembra parlare da solo. A voce alta. Urla il nome di Marco. Chi è Marco?
Probabilmente colto da uno scatto d’ira, forse soffre di PTSD, Disturbo post traumatico da stress, o di uno degli Nmila disturbi della personalità che ti spingono a uccidere qualcuno.
E’ giunta la mia fine mi sembra chiaro, ma mu alzo in piedi perché l’istinto mi dice di sopravvivere e se proprio devo, almeno voglio morire dignitosamente, non chino a terra, già mezzo pronto a distendermi sul pavimento, per sempre.
Eccolo ci siamo.
Questo è quello che ho pensato,almeno credo, in quell’istante.
Ma improvvisamente si ferma a un metro da me. Il braccio teso e uno verso la testa.
Non mi ferisce, non mi colpisce, non mi uccide.
Addirittura, si scusa.
Il mio vicino Dexter, ha quasi tentato di uccidermi, forse involontariamente e si è fermato.
Sono ancora vivo per descrivere la mia quasi morte, o il mio quasi infortunio. Una morte non dolosa, nemmeno preterintenzionale, una morte banalmente colposa.
Dexter si era avvicinato a gran velocità con la sua Renault Scenic. Era entrato nel parcheggio antistante il condominio e guidava malamente reggendo con una mano il telefono e con l’altra il volante dell’auto.
Stava discutendo o litigando con il suo interlocutore, stava per parcheggiare la sua auto esattamente parallelamente alla mia, nonostante ci fossero decine di posti liberi. Ha impegnato la curva a gran velocità facendo slittare un pochino le gomme.
Mi ha probabilmente visto solo all’ultimo momento, quando mi sono alzato in piedi, e ha quindi potuto vedermi distintamente.
Dexter ha frenato a poco meno di un metro da me e si è sentito distintamente il rumore dell’ABS in funzione.
Guidava in modo rabbioso, non so dove volesse andare visto che qualche metro dietro di me c’era un muretto in cemento.
Ha fatto mille cenni di scuse mentre continuava a litigare con il suo interlocutore al telefono, tal Marco, del quale ha ripetuto il nome almeno 20 volte.
Eccolo il serial killer dilettante…
L’ho amabilmente mandato a quel paese, ma il suo ego in quel momento l’aveva proiettato solo nella discussione con Marco e non mi ha cagato.
Un professorino di musica si è rivelato un bulletto di periferia.
Il guidatore folle c’è l’ho già nel condominio: il mio vicino Dominic Torello. Non avevamo bisogno di un nuovo pericolo pubblico.
Dexter mi sta in via ufficiale “semplicemente sui coglioni”.
Ciao ciao serial killer.
Ah ….
Ieri si è affacciata al terrazzo la nuova morosa, Rita.
È pure gnocca….
Forse, ne sentirete ancora parlare.
Forse.
#unavitaadepisodi
**Storia pubblicata con l’autorizzazione del genio di Massimo Atzeni
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