Tutto è iniziato con un messaggio nella bacheca.
Stampato, ovviamente.
Firmato “alcuni condomini del terzo e quarto piano”.
Diceva che durante alcune ore della giornata si era reso “costante e invadente il richiamo vocale della signora dell’interno 18 rivolto al proprio gatto domestico”.
Chiedeva una valutazione in sede assembleare.
L’amministratore, stanco di dire sempre no a tutto, ha messo il punto all’ordine del giorno.
Così, la sera del 12 aprile, il condominio si è riunito per discutere del tono di voce della signora del quinto piano quando chiama il suo gatto.
Lei non era presente.
Diceva di avere da fare.
Il gatto, invece, pare fosse regolarmente affacciato, spettatore silenzioso del caos che stava per scatenare.
La discussione è partita piano, con toni pacati.
Una signora del terzo ha detto che i richiami la fanno sobbalzare ogni volta.
Un ragazzo del secondo ha raccontato che la voce entra nelle cuffie anche a volume medio.
Un altro ha citato il figlio piccolo, che ogni volta si sveglia piangendo, spaventato da quel “Meeeeeeeooooooooo!!!” lanciato a pieni polmoni dalla finestra (Nome fantasioso).
A un certo punto un pensionato ha estratto un cellulare e ha fatto partire una registrazione audio.
Il file durava 7 secondi.
Sette secondi netti di un “MEO” urlato con voce squillante, con la “E” tirata lunga e la “O” che sembrava strappata da un film di Tarantino.
Nel silenzio generale, ha chiesto se quello poteva essere considerato richiamo o molestia fonica.
Qualcuno ha suggerito di parlarne direttamente con lei.
Un altro ha proposto di cambiare semplicemente finestra da cui chiama.
Un signore del primo piano ha detto che si sente poco coinvolto perché il suono rimbalza verso l’alto.
Poi è arrivata la proposta.
Dal pensionato di prima.
Ha detto che, anni fa, il suo vicino usava un fischietto per chiamare il cane.
Discreto. Breve. Funzionale.
Ha proposto di adottare un fischietto condominiale.
Un suono standard.
Una specie di protocollo.
Ha detto che avrebbe potuto regalarne uno alla signora.
A quel punto l’amministratore ha iniziato a sfogliare nervosamente il regolamento.
Ha detto che non esiste giurisprudenza su “toni di voce felini”.
Che non si può vietare di chiamare un gatto.
E che, in fondo, stava andando tutto leggermente fuori controllo.
Ma ormai la riunione era viva.
C’era chi proponeva di misurare i decibel.
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