Nei giorni successivi, insieme a mio cugino andammo a comprare del cibo per cani e cominciammo a dar da mangiare al piccolo. Avevamo grosse difficoltà a dargli l’acqua: non potevamo raggiungere le ciotole, perchè chiuse, insieme al cane, dentro il recinto così, armati di bottiglie di acqua minerale, cercavamo di far bere il cane passando il collo della bottiglia dalla rete.
Le temperature continuavano a scendere, arrivando attorno allo zero. Il terreno ghiacciava e il cane non aveva nulla, se non un piccolo riparo fatto di assi di legno.
Lo chiamavamo “Goody”, non sapendo il nome.
Dopo circa un mesetto (o forse più), in cui passavamo tutti i giorni dal cucciolo, decidemmo di andare dai vicini a chiedere spiegazioni, eravamo intenzionati a dire loro che ci saremmo occupati del cane. Ricordo quando suonammo alla loro porta, un po’ intimoriti (eravamo poco più che adolescenti). Non risposero. Chiedemmo agli zii e loro ci dissero che erano partiti per una vacanza in una località sciistica.
A quel punto era chiaro che avevano lasciato il cane da solo in condizioni a dir poco pietose. Eravamo in pieno periodo natalizio e finalmente, era arrivato il momento di tornare a casa, a circa 200Km da dove mi trovavo. L’indomani papà sarebbe passato a prendermi.
Quella notte però, io e mio cugino decidemmo che avremmo liberato Goody. Arrivammo al recinto e tagliammo la rete, con le mani ghiacciate per il freddo. Per la prima volta, presi in braccio il cane; era un fagottino di 5 o 6Kg che tremava come una foglia. Lo avvolgemmo in una vecchia felpa e lo portammo in una sorta di magazzino dove gli zii tenevano gli attrezzi e lo tenemmo con noi, tutta la notte, sempre svegli, cercando di accarezzarlo e scaldarlo. Quando papà arrivò a prendermi, salutammo tutti e d’accordo con mio cugino, poco prima di ripartire, lui mise il cane, avvolto nella felpa e altri stracci, in macchina di papà, nei sedili posteriori, senza dire una sola parola.
Salimmo in macchina e dopo aver salutato con la manina e aver fatto diversi Km, papà si accorse del cane che dormiva sul sedile posteriore (si accorse dello strano odore, perché il cane era rimasto immobile accovacciato al caldo). Raccontai che l’avevamo trovato la sera prima e che doveva essersi intrufolato in macchina, magari attirato dal mio odore. Non credo che papà se la sia mai bevuta, ma a quel punto lo supplicai e gli chiesi in tutti i modi di poterlo tenere. Vista la situazione (mio padre sapeva che quei 2 mesi erano stati difficili per me), alla fine, acconsentì, anche perché promisi di occuparmi in tutto e per tutto di quel cane.
Lo portai a casa e anche mia madre, tornata dall’ospedale, fu contenta, non tanto del cane, quanto di vedermi felice. Poi va be, lei si affezionò subito.
CieloDuro
Quando non si conosce la differenza fra un essere vivente ed un Tamagotchi…