Storie dal vicinato

I terribili coniugi B. – Parte 2, “La famiglia S.”

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Siamo ai dirimpettai dei coniugi B., la famiglia S.

Coppia abbastanza giovane. Si sono trasferiti col figlio piccolo poco dopo di noi.
La prima volta che ho incrociato lei tornavo da fare la spesa, mi ha fatto un sacco di feste. Tipo la seconda domanda è stata se avevo bambini, le ho detto con naturalezza di no: è trasfigurata in volto, mi ha guardata come un’appestata ed è rientrata in casa alla velocità della luce. A tutt’oggi se mi incrocia per le scale scappa in casa, se mi incrocia per strada guarda dall’altra parte. Stesso trattamento viene applicato al mio compagno. Ce ne faremo una ragione.

Passiamo al marito. Grandissimo ca**one gonfiato, altezzoso, borioso, disse al mio compagno che non doveva parcheggiare dove parcheggia da sempre perché non è sotto al nostro terrazzo ma sotto al terrazzo di un appartamento che però viene tenuto vuoto dai proprietari. In realtà nel piazzale parcheggiamo sempre nei soliti posti ma senza vincoli riguardanti il lato del terrazzo o del palazzo. C’è posto per due macchine per appartamento, senza contare che ognuno ha il suo garage e volendo può parcheggiare anche lì.

Il loro bambino ha una di quelle macchinine elettriche. Il loro bambino passa le giornate a fare il giro del piazzale con quella macchinina di mer*a. Macchinina di mer*a con cui va sempre ad appoggiarsi alle macchine vere, a volte con più velocità, perché il padre ca**one e la mamma strana stanno al cellulare mentre il bambino è impegnato ad allenarsi per la Parigi-Dakar. Un giorno ha “tamponato” il mio compagno appena rientrato dal turno di notte, quindi con un grado di tolleranza verso l’universo prossimo allo zero assoluto. Gli fa notare che prima cosa il bambino potrebbe anche farsi male un giorno, e seconda di poi il giorno che crea un danno lo pagano. Al mio compagno viene risposto che se avessimo figli capiremmo quanto è importante farli divertire, che non può capire un bambino, che siamo aridi e severi (al plurale. Io in quel momento stavo dormendo in casa).

Fun fact: il mio compagno è uno psicologo dell’età evolutiva e dei contesti sociali e lavora in una comunità per minori. Gli viene detto che non è la stessa cosa. E vabbè.

Ho la sciagura che due giorni a settimana io e il ca**one ci troviamo a uscire per andare a lavoro alla stessa ora. La scena che si ripete è sempre la solita, quando sono la prima a mettere in moto la macchina: mentre si apre il cancello lui mi si attacca al culo, dà le sgasate, io mi affaccio sulla strada e se non parto subito (NB: abitiamo sulla strada più trafficata della cittadina e quasi mai hai la strada libera appena esci) mi suona pure. Mi sta attaccato al culo e cerca di sorpassarmi per tre chilometri. Finché l’altra mattina è successo il miracolo.

Poco prima di dove lavora lui c’è una combo mortale di un’immissione da destra dove la gente ritiene il codice della strada un’opinione, seguita da un semaforo che è più un sequestro di persona che altro, e una svolta a destra completamente cieca con subito dopo un attraversamento pedonale senza semaforo. C’era la municipale a fare le multe. Io faccio la svolta cieca, e intravedendo il semaforo successivo rosso mi fermo a far passare la gente all’attraversamento pedonale. Ed ecco il genio. Mi sorpassa pensando che io sia ferma per sport, inchioda con tanto di sgommata quando si rende conto che stava attraversando gente, uno della municipale lo vede e gli fa cenno di accostare.

S. del pianterreno ha imparato a non starmi più attaccato al culo quando andiamo a lavoro.

Parte 1
Parte 3 – “Il padre del TikToker”

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Luca

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