La signora Bianca vive al primo piano, in fondo al corridoio.
Una presenza costante ma mai invadente, educata, capelli raccolti e quell’aria gentile da chi ti tiene la porta anche se sei a venti metri di distanza.
La prima volta che mi ha regalato una marmellata ero appena arrivato nel palazzo.
Barattolo piccolo, tappo a quadretti, nessuna etichetta.
Solo un nastro sottile e un bigliettino scritto a mano:
“Assaggia e poi dimmi.”
Il contenuto era… violaceo.
Non proprio lampone.
Non mora.
Una via di mezzo tra prugna matura e inchiostro per francobolli.
Ma il gusto era buono.
Davvero buono.
Una di quelle cose che non sai riconoscere, ma che finisci in due giorni.
Quando l’ho ringraziata, ha sorriso e detto:
“Ogni tanto ne porto una. Così, per condividere.”
Condividere.
Come fosse un segreto.
Come se la marmellata contenesse qualcosa che non si può spiegare.
Da lì, ogni mese o due, appariva un nuovo barattolo.
Sempre sullo zerbino.
Sempre con colori inquietanti.
Una volta arancione spento.
Un’altra verde spento.
Poi un rosso che sembrava salsa per vetri.
Mai etichetta. Mai ingredienti. Solo il solito biglietto.
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