Papà e mamma comprano casa quando ho 5 anni.
L’anno successivo nasce mia sorella. Siamo una famiglia felice: 2 genitori che si vogliono bene e che vogliono bene ai propri figli. Una bella casa, nessun problema.
Il “Mulino Bianco” ci fa un baffo e la vita scorre normalmente e piacevolmente fino ai miei 12 anni. Un giorno mamma riceve una telefonata: papà ha avuto un brutto incidente.
Ricordo quei momenti, quando lei ci lasciò da zia e corse verso l’ospedale. Non rividi mai più mio padre, ci lasciò il giorno stesso, aveva 37 anni.
La mia vita cambiò da quel momento.
Mamma lavorava 18 ore al giorno per mantenere me e mia sorella e spesso i sacrifici non bastavano, ma la cosa che più mi ha fatto male in quel periodo è stata la cattiveria di chi abitava di fianco a noi, dei mostri che non riesco a definire “vicini”, perché ancora oggi, non credo di aver mai conosciuto persone più “lontane”.
Io e mia sorella eravamo spesso da mia zia o da mia nonna perché come detto, mamma lavorava e non poteva lasciarci sole.
Nonostante fossimo a casa solo poche ore al giorno, i vicini, cominciarono a lamentarsi per ogni cosa. Ai tempi non capivo, ma oggi so la verità: avevano intenzione di sfinire mamma con i loro dispetti e costringerla a vendere casa a loro.
Hanno visto una donna sola, con 2 figli, indifesa e debole, e hanno pensato di schiacciarla. Ricordo una volta: la vicina mi si avvicinò e mi sussurrò: “se tuo padre è morto, è perché gli faceva ribrezzo vivere con te e tua sorella”.
Parole simili le urlò anche a mia madre mentre si lamentava dei rumori che arrivavano dal nostro appartamento (vuoto).
Un giorno trovammo la porta di casa, imbrattata di cacca di cane. Quando la vicina uscì, ci disse che dovevamo fare attenzione a non lasciare in giro i bisogni del nostro cane, perché quello sarebbe stato il risultato. Noi non avevamo nessun cane e ricordo mamma, con le lacrime agli occhi pulire quello schifo.
Potrei andare avanti ore: zerbino riempito di olio, posta rubata, strappata e rimessa nella casella. La piccola utilitaria di mamma rigata dalle chiavi, il parabrezza rotto e il lunotto posteriore riempito di scritte, dove la parola più carina era “tro*a”.
Il vicino tutte le volte che entrava dentro casa sua, passava dal vano contatori, staccava la luce e chiudeva l’acqua.
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