Salgo in auto e metto la retro.
Bip Bip.
I sensori anteriori mi avvertono che sono passato ed uscito con il muso, sterzo a destra metto la prima e vado avanti.
Mentre proseguo beep beep beeeeeeeeeeeeeeeeeeeep.
I sensori posteriori.
Ma che cazz! Ma io sto andando avanti cosa c’è dietro?
Pum Pum Pum. Sento battere forte sul lunotto posteriore.
Scendo dalla macchina ancora accesa.
Appare il signor Friedericksen, il vicino che domina il vano garage, vestito con una salopette di velluto verde che sale fino a coprire un maglione a fantasie natalizie sui toni del rosso e del bianco.
– “El me scusa” (Mi scusi!) dandomi stranamente del “Lei”
– “Buongiorno! E’ successo forse qualcosa che mi batte sulla macchina? E’ anche un po’ rischioso, se mi si mette dietro mentre faccio manovra non la vedo”
Sogghigna con fare sicuro.
– “Sii sii intanto bon Nadae, dopo volevo chiederve se lù ga fìoi” (Si intanto buon Natale, poi volevo chiederle se ha figli)
Sono circa 10 anni che mi vede ed è la prima volta che non mi chiede se “sòn so marìo dea signora Cengio” (se sono il marito della signora Cengio).
– “Si…eccoli qua sono seduti dietro” e dentro di me pensavo, eccolo adesso romperà perché magari sono passati sotto, hanno respirato oppure gli ha immaginati vicino a casa sua.
– “Volevo dirte che go una bicicleta in garage (che si pronuncia come è scritto, GA-RA-GE), la xè de me nevoda che la xè veniù granda e non la usa pì” (Volevo dirti – ora mi da del TU – che ho una bicicletta in garage, è di mia nipote che è diventata ormai grande e non la usa più)
– “Ah bene, ma credo che sua nipote abbia circa l’età di mia figlia”
– “No no la xè pi granda la ga undese tredese anni passà” (No no è più grande e ha undici, tredici anni compiuti)
– “Ok dai, ora sto portando i bambini a fare gli auguri ai nonni, ci vediamo magari più tardi così vedo sta bici, grazie intanto” sapendo che se fossi sceso dall’auto non ci sarei risalito prima di mezz’ora.
Faccio per chiudere la porta e infila la mano per tentare di fermarla.
Per evitare di fargli male infilo a mia volta la punta del piede in tempo per evitare di portarmi a spasso le sue falangi ossute.
Mi apre la porta e si fa più vicino.Abbozza un sorriso che sembra la tastiera di un pianoforte, qualche dente color avorio interrompe il nero proveniente dalla cavità della sua bocca. Non sento l’alito, ma percepisco la pesantezza del suo fiato aromatizzato da un rutto a sbuffo appena emesso.
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