il signor Veronelli abita sopra di me.
Preciso, ordinato, in pensione da una vita, con l’aria di chi legge tutti i regolamenti anche quando compra le pile per il telecomando.
Ha la voce bassa ma costante, tipo metronomo del fastidio.
E soprattutto, ha un problema: il rumore.
Il mio, ovviamente.
Non quello del mondo.
Solo il mio.
Se cammino con le ciabatte, si batte il soffitto.
Se chiudo la finestra con un filo di vento, ricevo una nota scritta.
Una volta ho messo la moka alle 7:45.
Alle 8:02 avevo un foglietto nella buca delle lettere che diceva:
“Il risveglio dovrebbe essere una faccenda interiore.”
Non parliamo della volta che ho trascinato una sedia.
Sembrava avessi commesso un crimine edilizio.
Ha citato l’articolo 9 del regolamento condominiale come se fosse la Costituzione.
Ho iniziato a camminare in punta di piedi.
A parlare a bassa voce al telefono.
A vivere come se fossi ospite nella mia stessa casa.
Poi però è arrivata l’estate.
Finestre aperte.
Notte tranquilla.
Freschetto.
Alle 3:47 in punto, sentivo vibrare il soffitto.
Non musica.
Non televisione.
Il signor Veronelli. Che russava.
Non un russare normale.
Un suono profondo, regolare, che sembrava provenire da un generatore diesel in fase di collaudo.
All’inizio pensavo fosse un camion in retromarcia bloccato sotto casa.
Poi ho capito.
Era lui.
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