Allora avevo entrambi i bambini molto piccoli che a quell’ora si stavano godendo il riposino pomeridiano.
Seduto sul divano di casa, sollevo le gambe e appoggio i piedi sul puff e penso, sai che c’è? Mi riposo anch’io 10 minuti.
Chiudo gli occhi. Velocità di addormentamento circa 4 secondi, appena entrato in uno di quei sonnellini profondi che quando ti svegli hai bisogno del logopedista per riuscire a mettere quattro parole correttamente in fila.
Improvvisamente un rumore fastidioso, penetrante. Trrrrrrrrrrrrrrrrrrr trrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr – che caz stra scuscedenda …. L’ho appena scritto che avrei avuto bisogno del logopedista.
Sento vibrare e già lo maledico, lui, Vicinolage, una figura mitologica, metà vicino di casa, metà uomo dedito al bricolage.
Ma che strano a quest’ora? Di solito è rispettoso degli orari condominiali. Di solito lo sono tutti.
Trrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr trrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr, di nuovo quel rumore snervante.
Vibrano tutti i muri di casa, ma non sono convinto sia lui. Ormai ha trapanato tutti i muri e i soffitti di casa. Nei mattoni non ci può matematicamente essere lo spazio per nuovi buchi e nuovi tasselli per viti. Dovrebbe abbattere un muro (cosa che comunque farà qualche anno dopo) e tirarne su uno nuovo tutto da forare.
Ma il rumore è fortissimo, intollerabile. Chi può essere se non lui? Sento vibrare persino i piedi e seppur tentato dallo stendermi e provare a vedere se il pavimento fa l’effetto di una di quelle poltrone massaggianti, decido che devo assolutamente fermare quel rumore altrimenti i miei figli si sarebbero certamente svegliati, mandando in malora tutta la pianificazione del sabato con cena e ospiti.
Bambino stanco implica serata da dimenticare.
Recupero l’utilizzo della parola e penso a cosa fare.
In quell’istante mi arriva un messaggio sul telefono. No, sono due messaggi. Tre messaggi:
Il primo e il secondo arrivano dal mio ex vicino che abitava al piano di sopra: “Ma chi cazzo è che sta demolendo il palazzo?” “Siete voi?”.
Il terzo messaggio da parte di Vicinolage, un lapidario “Questa volta non sono io, giuro”.
Un messaggio che mi destabilizza, se non è lui chi cazzo sarà?
Mi infilo le scarpe esco dalla porta e seguo la fonte del rumore. Scendo nel vano garage, sembra provenire proprio da li, vibra tutto. Ma cosa stanno facendo, stanno scavando un tunnel? Entro nella terza porta tagliafuoco, due portoni dopo il mio.
Appena entrato, li sotto, ci sono i vani cantina.
Il rumore è sempre più forte, le vibrazioni a intermittenza sempre più intense. C’è una porta socchiusa, una luce al neon bianca illumina la stanza e la polvere che esce copiosa. Sembra di essere in una discoteca harcore anni ’90: rumore, fumogeni e luci stroboscopiche. Mancano le cubiste.
Mi avvicino all’ingresso, vibra tutto e il rumore è assordante, non sono vibrazioni di piacere.
Busso alla porta metallica. Ehi, scusi, permesso, scusi! Posso entrare?
Il trapano si ferma, sento un grugnito. Si affaccia una figura alta, magra. Il viso ricoperto da centinaia lentiggini e polvere grigia, Degli occhiali in celluloide sorreggono due fondi di bottiglia, di quelli che fanno sembrare gli occhi di chi li indossa il doppio della loro reale dimensione.
E’ il nuovo vicino. Arrivato da un paio di settimane. Non avevo ancora avuto modo di parlarci. Quando l’ho intravisto per la prima volta ho pensato che lui e moglie fossero fratelli in quanto si assomigliavano: assolutamente Identici.
– Scusa il disturbo – gli dico abbozzando un mezzo sorriso.
– Cosa c’è? – non sembra affatto affabile, anzi direi il contrario.
– Ciao, sono il vicino, abito un paio di portoni più in là. (Avrei voluto esordire con ciao sono uno dei vicini a cui stai fracassando il cazzo, ma non era il modo migliore per cominciare).
– Eh, ….allora?
In quel momento mi piacerebbe prendere il demolitore che ha in mano, perché di quello si trattava, non di un normale trapano, e perforargli il cranio come si fa con i vaganti in “The Walking Dead”. Ma respiro e sfoggio tutta la mia diplomazia.
– Sarebbero le due del pomeriggio, di sabato, qui siamo quasi tutte famiglie con bambini piccoli o appena nati, pensi di andare avanti tanto? Perché ti ripeto, sembra un po’ presto per iniziare i lavori. Quando trapani il calcestruzzo, ti sembrerà impossibile, ma vibra tutto quanto, sembra di averti in casa.
– Addirittura… – mi risponde.
A quel punto lo immaginavo già con entrambi i bulbi oculari perforati dal trapano, appeso al muro, attraverso le cavità oculari del cranio , al posto delle mensole che stava fissando. Avrei poi straziato il suo cadavere con un piccone da montagna poggiato dentro una scatola di cartone al centro della cantina. Sarebbe stata una morte spettacolare e proporzionata alla supponenza del nuovo vicino. Ma ovviamente, con un sorriso un po’ scemato, ho risposto educatamente.
– Eh si. Sembra impossibile, ma è proprio così. Non potresti fare una pausa e continuare…. che ne so verso le 16? Quando è finito l’orario del silenzio?
Mi guarda, prende il trapano e fa un altro buco.
– Tanto ho finito…e non mi sembrava di far tanto rumore comunque. – Nessun “scusa”, nessun “non ci ho pensato”, niente proprio nessuna frase, nemmeno una di circostanza.
Il mio Spotify cerebrale si è sintonizzato sulle note di Psycho Killer dei Talking Heads, ma lo spengo e metto in modalità mute.
Un minuto di silenzio, di soli sguardi.
Lo liquido con un “vabbè ho capito, ciao, comunque la mensola è storta”.
Si gira verso la mensola, con l’indice avvicina la montatura degli occhiali alla fronte, osserva e mi guarda perplesso.
Avevo la certezza che era arrivato un vicino di merda che ribattezzai immediatamente “Ragade”. Ognuno poi libero di scegliere dove.
E non avevo ancora conosciuto suo figlio di sei anni. Un cagacazzi all’ennesima potenza.
In dieci anni ci avrò parlato altre 3 o 4 volte.
Sua moglie in un paio di occasioni mi ha redarguito dicendo che sono stato troppo duro con lui e che a causa mia ha anche sbagliato a mettere l’ultima mensola.
Eccomi mi presente sono il nuovo candidato per il “Premio Nobel per la Pace”.
#unavitaadepisodi
**Storia pubblicata con l’autorizzazione del genio di Massimo Atzeni