La Za Carmina era tanto religiosa quanto pettegola. Conosceva preghiere e orazioni per qualsiasi cosa: per chiedere la grazia di una gravidanza, per chiedere la grazia per il raccolto, per chiedere la pioggia, per chiedere la guarigione dalle emorroidi. Ad ogni problema associava una preghiera. Era un almanacco religioso vivente e ovviamente sapeva tutto di tutto il vicinato, non le sfuggiva proprio nulla.
La zia pregava e spiava, spiava e pregava in un turbine senza fine. La zia Carmina e mia nonna Irene erano vissute sempre nello stesso cortile un settantennio, all’epoca del racconto (anni 90), standosi sempre vicendevolmente sui co***oni e pizzicandosi di continuo. E faceva nulla che avessero passato due guerre mondiali, si erano passate farmaci e cibo, si erano vicendevolmente aiutate nei parti e allattato figli a incrocio (se a una delle due andava via il latte, l’altra allattava il neonato fino allo svezzamento per evitarne la morte) nonchè nascosero i mariti ai tedeschi in cantine e solai.
L’antipatia persisteva e non perdevano occasione per rinfacciarsi qualcosa e per litigare selvaggiamente. Ogni occasione era buona: la biancheria stesa dove non doveva, i confini di potestà del cortile non erano chiari a nessuno, il secchio dell’immondizia messo al sole, il cane che abbaiava, le galline invadenti. Erano liti e vanniate (urla) di continuo e più volte al giorno.
Mia nonna e la Za Carmina da 70anni erano VDI l’una dell’altra.
L’unica cosa che entrambe adoravano l’una dell’altra erano i nipoti. I nipoti erano sacri, fantastici e intoccabili. Probabilmente perché entrambe avevano perso il conto di quale figlio avessero allattato e visto che entrambe avevano avuto intorno alle 9 gravidanze, fra chi era vissuto e chi era morto, si erano perse di casa e non sapevano bene manco della schiera dei nipoti altrui. Dunque, i nipoti li sentivano tutti un po’ loro.
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