Abito con la mia famiglia a stampo matriarcale in un condominio di villette a schiera da ormai trent’anni, in una cittadina ligure.
Siamo propietarie da quando ho memoria e le nostre gite fuori paese erano per vedere l’avanzamento della costruzione della nostra futura casa. Cosa importante che devo dirvi: sono francese ma di famiglia italiana. Quando finalmente si decise per questo drastico cambiamento di vita, ci accorgemmo che i nostri nuovi vicini non erano così cordiali come ci era sembrato all’inizio. Riassumere trent’anni in un post è un po’ difficile, soprattutto tenendo conto che ci sono ben otto appartamenti e ci sarebbe da dire per ognuno, partendo dai soprannomi più che azzeccati da mia nonna.
La rana.
Di fronte alla nostra cucina, questo VDM ha il suo orto e da quando ho memoria si considera il capo del condominio ed il migliore di tutti. Ha la faccia che ricorda la rana dalla bocca larga della barzelletta. Sua moglie, che rimane nei meandri della casa, è il generale in carica di occuparsi della tana. Fa le riunioni sindacali sotto la mia finestra e d’estate passa la motozappa appena sente che siamo in cucina. Passa la sua vita nell’orto che cura in maniera maniacale, misurando con il metro lo spazio tra ogni pianta.
Descrivere come è costruito il nostro palazzo è un po’ complicato, ma sotto casa nostra abbiamo dei terrazzi, in parte privati e in parte condominiali. Per evitare di stare in mezzo alla strada e per tenerci d’occhio, mia madre ci permetteva di giocare nel nostro terrazzo da bambine e ogni tanto ci scappava di finire in quello condominiale per le nostre gare di corsa.
Ora, questo caro e dispotico vicino ci sgridava perché era contro il sacro regolamento condominiale e ci faceva filare dritte a casa. Ne parlò sia con mia madre che con mia nonna davanti alla platea dei vicini assetati di pettegolezzi, con la sua voce carica di paternalismo e sentimento.
I miei, troppo bonaccioni, non dissero niente. Ci fu vietato di scendere pure nel nostro appezzamento di piastrelle. Tutto per le cipolle. Ebbene sì, il caro vecchio ranocchio, che si difendeva dietro le parole sacre della bibbia condominiale, dove noi correvamo ci metteva le cipolle ad asciugare. Non contento di ciò, iniziò pure a fare il finto sordo ai nostri saluti fanciulleschi. Da allora faccio finta che lui non esista e la mia guerriglia silenziosa dura ancora.
Quando pensa che non lo sentiamo, davanti alla sua platea personale, ci chiama le francesi spettegolando sul nostro conto. La sua anima gemella del palazzo è il direttore d’orchestra che abita sotto di noi, un ex poliziotto in pensione.
Rido ogni volta che li sento parlare, soprattutto per il tono tutto moine che rivolge solo a lui. Si sente l’amore incondizionato e melenso nell’aria dopo il loro incontro da finestra a orto, perché la rana aspetta che la sua Giulietta apra la finestra alle nove spaccate per dare il primo saluto al suo amore.
Ne avrei da raccontare ancora sul suo conto, ma questa è un’altra storia.
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