Sono un autista soccorritore professionista da molti anni.
Lavoro per la ASL e trasporto l’equipaggio sul luogo dell’intervento. Normalmente, inseme a me, c’è un medico e un infermiere.
Quando lavoro sono estremamente concentrato e non mi distraggo mai, anche quando trovo sul posto persone che conosco. Non guardo, non saluto, non dico una parola se non ai colleghi che intervengono con me. Questo racconto è basato, più che altro (ma non solo), su quello che mi è stato raccontato, perché ricordo poco di quei momenti.
Negli anni (oltre 20) di professione ne ho viste di tutte i colori ma un episodio mi è rimasto impresso, anno 2010 circa.
Allora c’era il 118 (oggi 112). Ci chiamano per un intervento, parto in sirena. L’indirizzo lo conosco bene: è quello di casa mia. È l’ora di punta, sfreccio nel traffico e in circa 5 minuti sono davanti al mio palazzo.
Come sempre ci sono macchine parcheggiate ovunque, la strada è molto stretta e se mi fermo in mezzo alla strada blocco completamente il traffico (sticazzi, l’ho dovuto fare un milione di volte ed è l’ultimo dei miei problemi). Proprio davanti al cancello vedo un posto libero tra i parcheggi riservati al condominio, bello largo, mi ci infilo e spengo la sirena.
Salto giù dall’ambulanza e apro il portellone laterale per prendere defibrillatore, zaino e permettere a medico e infermiere di fare altrettanto. So il nome della persona che ha chiamato, non perdo tempo e corro con i colleghi verso la scala B 3° piano.
Non faccio in tempo a fare 2 passi che viene fuori uno dei vicini (che mi conosce bene) e comincia ad urlare. Lo ignoro. Questo urla di più: “ma chi ti credi di essere? Quello è un parcheggio condominiale, sposta subito quella macchina”.
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