Categories: Storie dal vicinato

La tabaccaia (parte 2)

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Passano i giorni, passano le notti. Quasi ho fatto l’abitudine a quei rumori dal piano di sopra e ogni volta cerco di essere razionale dando la colpa al soppalco. Le voci ed il calpestio, magari… qualche operaio, qualche agente immobiliare. Di notte? Mi accorgo che mi faccio domande e in continuazione provo a darmi risposte che non sempre sono razionali, allora provo a cercare della logica nell’illogica delle cose, finendo in un loop di pensieri che mi logora. Alla fine, faccio quasi l’abitudine a tutto, anche quando si accende la televisione o parte il condizionatore (per fortuna raramente), penso a un impianto elettrico con qualche contatto.

Poi le mensole e le cose che cadono in continuazione, le ante della cucina che spesso sono aperte anche quando sono sicura di averle chiuse. Ci sto facendo quasi l’abitudine ma la verità è che ho paura e cerco in ogni modo di allontanarmi da quel posto, cercando rifugio dagli amici chiedendo ospitalità per la notte e arrivando a dormire in albergo quando mi sento troppo insicura.

Poi un giorno è arrivata la fine.

Avevo trascorso un mese circa alla tabaccaia. Una notte mi sveglio senza un motivo, come può capitare a chiunque. Guardo verso il lucernario rotondo nella parte alta del soffitto e la mia paura di quel posto, si trasforma nel peggior terrore che abbia mai provato. Qualcuno mi osservava da dietro l’oblò. Lo vedo distintamente, per qualche secondo rimane immobile ad osservarmi. È a 5 metri dal pavimento, forse di più e non può essere li!

Il viso è quello di uomo, ne vedo perfettamente i contorni, nonostante il buio, vedo i suoi occhi, lo sguardo fisso su di me e una specie di sorriso. Urlo, urlo, urlo come mai ho fatto in vita mia mentre provo a nascondere il mio viso tra le lenzuola, inginocchiata sul letto. Lui è li che mi guarda immobile, non sto sognando, cazzo, è reale. Sento i brividi freddi e mi accorgo che la voce è rotta dal pianto e dalla paura. Sono totalmente bloccata e piangendo comincio a implorare: “vai via, vai via, vai via, ti prego, vai via”.

Lui non si muovo e in quel momento parte quel maledetto condizionatore con le solite “voci” rendendo quell’incubo peggio di come potessi immaginarlo, ma gli incubi si sa, fanno parte del sonno. Io sono completamente sveglia e perfettamente lucida. Fisso quel viso mentre il condizionatore “sembra parlare” poi, vedo il volto dissolversi.…ed il chiarore della luna tornare nella stanza in qualche secondo. Per la prima volta, dopo molti anni prego, sono in ginocchio sul letto che prego e non mi vergogno di dirlo. Sento il beep del condizionatore che si spegne. Dopo qualche minuto mi calmo, singhiozzo, piango mentre scendo dal letto e accendo le luci. Poi con il bastone chiudo lo scurone dell’oblò. Mi infilo un paio di scarpe ed esco da quella casa. È notte fonda, ma mi precipito a casa di Flora.

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