Mi infilo un paio di scarpe e decido di andare a bussare (perché urlare attraverso i muri non fa per me).
Apro la porta di casa, nera e fumante, “ma con chi pensano di avere a che fare?”
Poi non so cosa succede; l’indecisione e la poca sicurezza in me stessa mi bloccano. Non so più cosa dire, rimango bloccata, indecisa su cosa fare e niente, richiudo la porta col capo chino…
Continuano a litigare per un’altra mezz’ora buona, ma, per lo meno, non vengo più additata come la vicina tro*a.
Sono amareggiata e un po’ schifata ma lentamente è torna la pace: i toni si fanno più pacati e dopo un po’ non li sento più. Dentro sono angosciata, non riesco a pensare ad altro.
Il mattino dopo esco e li incontro, abbracciati come due piccioncini e vedendoli mi sale l’acido. Non resisto e scatta qualcosa in me che mi aiuta a superare l’imbarazzo.
Guardo lui con fare piuttosto minaccioso gli dico (o meglio gli urlo):
“Oh Di un po’,oh testa di ca*zo, quando parlavi di sco*are, ti riferivi a tu sorella?”
Poi guardo lei: “e te? quando parlavi della troia, ti riferivi alla tu mamma, vero?”
Loro mi guardano in silenzio, a me è scoppiata la vena e proseguo:
“Siete du merde e sappi, brutto imbecille, che non sco*erei con te neanche se tu fossi l’ultimo ‘omo sulla terra!”
Loro mi guardano come se avessero visto un marziano: le bocche spalancate, sicuramente non avevano immaginato che io potessi sentire distintamente ogni parola del loro litigio.
Lui balbetta qualcosa e poi mi dice: “eh, n.. n.. no…. “ fa una strano gesto con le mani, quasi invitandomi alla calma.
Lei, perso lo stupore iniziale mi guarda inacidita, interrompe lui che ancora non aveva detto una parola di senso compiuto e mi dice “ma tu che ca*zo c’entri te?”
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