Quando ci siamo trasferiti qui ero incinta e aspettavo il mio primo figlio. Un posto che ci aveva colpiti subito per la sua tranquillità e per i fatto che c’era molto verde (che adoro). C’era una serie di casette a distanza di una decina di metri l’una dall’altra, alcune con una rete a delimitare i giardini, altre con delle siepi.

I nostri vicini erano una coppia di oltre 80 anni e si erano dimostrati subito molto carini e gentili nei nostri confronti. Appena conosciuti ci avevano messo in guardia dal figlio, definendolo, letteralmente “lo scemo del villaggio“. Il figlio viveva con loro, ai tempi aveva oltre 60anni ed era una figura piuttosto inquietante. Appena conosciuto aveva cominciato a urlarci contro, ogni tipo di insulto. Non rispondevamo alle provocazioni, proprio perché il padre ci aveva avvisati del fatto che non fosse molto a posto.

Lo ignorammo totalmente ma questa cosa, entro breve ci si ritorse contro: gli insulti diventarono presto minacce. Una sera venne a prendere a calci la nostra porta fino a quando non aprimmo e ci urlò di tutto perché qualcuno aveva parcheggiato la macchina davanti a casa dei genitori (tra l’altro su una strada comunale in cui è consentito il parcheggio). Noi non sapevamo neanche di fosse quella macchina e quando provammo a spiegarglielo, lui ci accusò di nascondere gente in casa. Mio marito faticò parecchio a impedirgli di entrare per controllare.

Qualche giorno dopo, mentre mi trovavo in giardino venne verso di me con fare minaccioso intimandomi di far tagliare alcuni alberelli nella mia proprietà. Mi disse che quegli alberi erano stati piantati dal precedente proprietario per fargli un dispetto e per questo motivo, avremmo dovuto eliminarli. Fu la prima volta in cui mi spaventai, perché era molto nervoso e agitato, inoltre barcollava come un ubriaco e biascicava rendendo anche difficile capire quello che diceva.

Quella sera mio marito andò a parlare con i genitori e gli raccontarono i fatti, loro si scusarono e in quel momento, fu abbastanza chiaro che non avevano il controllo della situazione.

Il giorno dopo aver parlato con i genitori, appena mi vide mi urlò di tutto, questa volta scandiva molto meglio: “putt*na, io amm*zzo, te e tuo figlio” fu sufficiente per andare i caserma e sporgere denuncia. Dovevo ancora partorire e già ero impaurita di mio; incontrare questa persona stava diventando davvero un problema per me.

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