All’inizio sembravano cose da niente.
Un foglio qua, uno là.
Stampati, mai scritti a mano.
Frasi tipo “chiudere bene il portone è un atto di rispetto”, oppure “l’ascensore non è una sala d’attesa, evitiamo lunghe telefonate”.
Firmati sempre uguale: un vicino gentile.

La prima volta mi è anche sembrata una cosa simpatica.
Poi però ho iniziato a vederli ovunque.
Bacheca, scale, maniglie, specchi, vicino ai bidoni.
Frasi tutte in un tono educato, corretto, impossibile da criticare apertamente.
Ma sempre dopo qualcosa.
Mai messaggi preventivi. Sempre reazioni.

Una volta ho sbattuto la porta per via del vento.
Il giorno dopo sul mio pianerottolo c’era un biglietto attaccato col nastro, diceva che il rumore può anche essere un’arma.
Un’altra volta ho cucinato qualcosa di un po’ più profumato del solito, tipo cavolfiore o cipolle, non ricordo.
La mattina dopo, sullo specchio dell’androne, un nuovo foglio diceva che le scale non sono la cappa della cucina.

Nessuno sa chi sia.
C’è chi dice sia una donna, chi dice sia l’anziano del terzo piano, chi parla di una coppia.
A me pare uno solo, costante, metodico, con una stampante laser e tanto tempo libero.

La cosa peggiore non è il contenuto.
È il tono.
Quel modo di scrivere come se fosse una carezza, ma che ti arriva come una sberla passiva-aggressiva.
Ti fa sentire giudicato anche se non sei sicuro di aver fatto qualcosa.

Col tempo ho iniziato a comportarmi in modo diverso.
Chiudo le porte più piano.

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Redazione

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