Questo post non parla dei miei vicini (che sono adorabili) ma del vicino di Dante Alighieri, Filippo Argenti.
Questo era un cavaliere “grande e nerboruto”, incazzoso e talmente tamarro da aver preso il vezzo di ferrare il proprio cavallo con ferri d’argento (da cui il contronome Argenti).
Le cronache dell’epoca raccontano che questo gran cacacazzi fosse solito cavalcare tenendo le gambe estremamente larghe, dispensando calci a tutti i pedoni che gli si fossero avvicinati troppo. Addirittura alcuni fiorentini lo denunciarono per questo comportamento e il Comune arrivò ad emanare delle norme volte a contenere “l’esuberanza” dell’Argenti, norme che (come tutti i vicini infami) questo continuò a ignorare.
Altri vizi, che i vicini infami condividono con il loro corrispettivo della Firenze del ‘200, sono l’uso spregiudicato degli spazi condominiali e le richieste assurde e inopportune. Accadde infatti un giorno, che Argenti chiese a Dante una raccomandazione a un giudice fiorentino per risolvere una sua questione amministrativa, Il Sommo (che già non aveva simpatia per l’Argenti, anche a causa di divergenze politiche) non solo ignorò questa richiesta, ma quando si trovò a colloquio con il giudice aggravò la sua situazione denunciandone le usurpazioni di suolo pubblico, causando il raddoppio dell’ammenda a suo carico. Ne scaturì un diverbio tra i due che vide il povero Dante beccarsi un sonoro ceffone dall’Argenti.
Come ci hanno insegnato a scuola, il povero Dante fu esiliato da Firenze nel 1302, i suoi beni furono incamerati dalla famiglia degli Adimari (di cui era stato membro anche Filippo Argenti presumibilmente morto quattro anni prima) che furono anche tra i principali oppositori di qualunque revoca del provvedimento di esilio. Dante non riuscirà più a rivedere Firenze e morirà a Ravenna nel 1321.
Il Sommo Poeta però è riuscito a prendersi una piccola rivincita nei confronti del manesco Argenti, facendosi scherno di lui e della sua ira nel Canto VIII dell’Inferno di cui potete trovare una splendida lettura ad opera del Mattatore Gasmann. La drammaticità del canto in questione è talmente forte (o forse rafforzata dal risentimento dell’autore nei confronti degli Adimari) da aver ispirato sculture, ritratti e, per ultima, una canzone dell’album di Caparezza Museica.
In conclusione, a 700 anni dalla sua morte spero che questi aneddoti sulla vita privata di Dante possano avvicinarci emotivamente alle sue opere.
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