Mi ricordo bene il giorno in cui ci trasferimmo. Ero un adolescente e anche se sono passati gli anni il giorno del trasloco non posso dimenticarlo. Avevamo lasciato la città dove ero nato per trasferirci in un piccolo paese sulla costa.
Il giorno del trasloco, tutti quelli che abitavano nei dintorni venivano a “caccianasare” per capire chi fossimo e soprattutto cosa mettevamo dentro quella casa che, prima di noi, era rimasta vuota per anni. Arrivavamo dalla grande Città e ci guardavano con un po’ di sospetto, come fossimo degli alieni venuti a conquistare le loro terre.
Erano abbastanza abituati ai vacanzieri, ma per loro, quelli che venivano in vacanza erano un po’ come l’anguria: al massimo si trovava qualcosa a settembre, in inverno no di sicuro! A chi verrebbe in mente di mangiare un cocomero a febbraio? Ecco, era esattamente quello il modo in cui ci guardavano.
I primi tempi passarono tranquilli… poi uno dei vicini, cominciò a comportarsi con mio padre, in un modo viscido e direi “strisciante“. Questo personaggio, sicuramente più grande rispetto a mio padre, voleva essere la nostra “guida” in questo mondo per noi nuovo. Una specie di Virgilio che aveva la presunzione, unita all’ignoranza di mostrarci “la retta via”.
Ogni tanto si avvicinava a mio padre e gli diceva “senti, posso dirti una cosa?”
“Non ti offendere, ma la macchina devi parcheggiarla 4 o 5 metri più giù” .
“Perché scusi? Il parcheggio è di tutti” (aveva risposto mio padre)
“si, ma vedi è che voi siete arrivati adesso e qui funziona così… non è che arrivi tu e parcheggi dove vuoi, che poi magari, io che sono nato qui non trovo posto vicino, vicino e poi magari me la prendo”
Mio padre, che ricordi, se ne fregò altamente del “problema parcheggio” perché lui non sopportava questi atteggiamenti e non sopportava neanche che “Virgilio” gli desse del tu, abituato com’era a portare rispetto alle persone dando del Lei a tutti; era un uomo piuttosto alto e ben piazzato e quando il vicino arrivava cercando di prenderlo a braccetto e fare 2 passi con lui per lamentarsi, la faccia di mio padre era di quelle da cinema: sembrava un po’ un Clint Eastwood che si preparava ad un duello con Lino Banfi.
Arrivò la prima estate il tizio, un giorno, vedendo mio padre, andò verso di lui con quella faccia da ca**o e un sorrisino, dicendogli “senti…….. ti diamoci del tu“,
mio padre: “no guardi, lei mi dia pure del tu, ma io continuerò a darle del Lei”
“Ah va bene, ma posso dirti una cosa?” Quando mio padre acconsentì, lui si cominciò a “consigliare” che non accendessi la Vespa nei garage, perchè facevo troppo rumore, quindi avrei dovuto spingerla su per la rampa a mano e accenderla una volta raggiunta la strada.
Mio padre mi chiese di provarci, visto che tutti i “consigli” del vicino, li ignoravamo totalmente. Peccato che la Vespa pesasse talmente tanto che non ce la facevo proprio a far la salita. Un giorno ci provai, ma la rampa era troppo ripida e la Vespa mi finì addosso mentre cercavo di spingerla. Non mi feci male, ma rovinai la motoretta a cui tenevo più di ogni cosa.
Ne parlai con mio padre e lui mi disse che se non fossi riuscito a portarla fuori, avrei potuto accenderla, del resto… anche il vicino usciva con la sua macchina: aveva una vecchia Fiat che rimbombava a km di distanza. Anche quella volta tentò la lamentela, ma mio padre ne aveva le palle piene e gli disse qualcosa del tipo: “veda di pensare alla sua macchina e non alla Vespa di mio figlio, visto che, oltretutto, la usa solo qualche giorno d’estate“.
Quel “senti….. (pausa interminabile) ti posso dire una cosa?” Era diventato un mantra e in famiglia ridevamo molto su questa cosa. Ogni tanto per scherzare, papà e mamma esordivano con un “senti…. ti posso dire una cosa?”
Un’altra volta ero presente quando, sempre lui, sempre strisciando come una biscia, cercò di prendere mio padre sotto braccio sempre con la stessa frase “senti……. posso dirti una cosa?” Mio padre “dica” Cominciò a camminare tenendo mio padre a braccetto e subito dopo si lamentò, quasi sussurrando, perché mia sorella di 6 anni aveva giocato con le formine e la terra e una formina le era caduta, attenzione: sulle NOSTRE scale. “ehhhh sai, non è una bella vista, magari i vicini si lamentano, non è per me sai, ma magari insegna alla bambina a pulire quando sporca… sai qui le persone ci tengono molto..“.
Ecco a mio padre potevi toccare tutto, potevi dire tutto, ma non potevi dire una parola su mia sorella perché allora si che diventava una belva.
Quel giorno, è rimasto impresso dentro di me, esattamente come il giorno del trasloco. Ricordo mio padre si fermò, si districò dal braccetto del vicino e come nella scena di un vecchio film disse al vicino:
“Senti, ti posso dire una cosa?”
“ah ecco, mi dai del tu finalmente, ma dimmi, dimmi pure…”
“si, ti do del tu, perché almeno mi capisci meglio: vaffanculo!!!! Adesso mi hai davvero rotto i coglioni. Non ti voglio più sentire, non devi più dire una parola, non ti avvicinare più a me e alla mia famiglia. Hai capito?”
Raramente ho visto mio padre così incazzato…
Il vicino sembrava un cagnolino, disse solo: “si, si” e se ne andò.
Non parlò mai più con nessuno di noi. Negli anni abbiamo avuto gomme bucate, macchie rigate, furto di piccoli oggetti e di un’autoradio (con la macchina in garage), mai trovato il colpevole, ma indovinate su cui sono finiti tutti i sospetti?
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