L'erba del vicino non è sempre più verde

Storie dal vicinato

Stay metal, stay foolish.

Durante il lockdown abbiamo tutti più o meno scoperto nuove abitudini o riadattato quelle che già avevamo.

La mia storia con il vicino da incubo, tuttavia, ha inizio molto prima. Dovete sapere che di fianco a me, in un palazzo signorile, abita un sedicente artista. Non dico “sedicente” perché si parla di trap, dico “sedicente” perché ritengo che qualsiasi genere sia da prendere sul serio, ma il tizio in questione si è sempre dimostrato una vera pippa anche con le rime più banali.

Bene, finché non eravamo in lockdown, il tizio si limitava a lanciare qualche barra su basi improvvisate dopo le 16, con un supplizio che terminava alle 19.

In quelle ore generalmente ero al lavoro, quindi quando mi capitava di sentirlo al massimo mi contorcevo su me stesso come Emily Rose e finiva lì. Ripeto: lo faceva in orari decenti, quindi non ero in diritto di riportarlo all’ordine.

Durante il lockdown lo stesso supplizio è aumentato: e la sua “musica” iniziava alle 14 e fino a mezzanotte affettava il ca**o tra basi sparate ad altissimo volume, gorgheggi con l’autotune da far risorgere Jack Torrance dalla neve per farlo a brandelli con la sua ascia, videochiamate in cui “cantava” in diretta i suoi brani con altri amici e ancora basi e gorgheggi.

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Prima che me lo chiediate: non so se avesse una famiglia, era un giovinastro (“era” perché poi ho cambiato casa) che vedevo e sentivo sempre solo, raramente vedevo adulti gironzolare in casa sua. Sono uno che rimane sulle mie, vivendo anche io da solo.

Quindi, dopo le prime settimane in cui era impossibile rilassarsi provai, a debita distanza, a confrontarmi con lui. Bussai, aprì dopo 5 tentativi e gli chiesi di ridurre la fascia oraria del suo flow.

“Fra bro zio scusa c’ho delle storie sono sempre ispirato scusa abbasso i DB tranzollo bella buona fi*a ciao”.

Servì a niente.

Ora, rilancio l’incipit: “Durante il lockdown abbiamo tutti più o meno scoperto nuove abitudini o riadattato quelle che già avevamo”.

Ecco, io sono un chitarrista e suono in una band nu metal. Ho una una Schecter a 7 corde. Durante il lockdown niente sala prove, quindi fui costretto a cercare diletto suonando con le cuffie. Fino all’ennesima giornata passata a sentirmi le lagne del trapper di fianco.

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“Lo faccio? Non lo faccio?”, pensavo, sentendomi un po’ un vicino da incubo anche io. “Lo faccio”.

Interno giorno. Ore 17. Il tizio ha già iniziato.
Entro in scena io. Volume dell’ampli a stecca, pedale distorsore, feedback della cassa prima dell’esplosione.
Scelgo il riff di Here To Stay dei Korn. Parto.

Mi fermo e sento che dall’altra parte il tipo smadonna “stavo registrandoo zio*aneeee”. Sento che ricomincia e riparto con Here To Stay.

Il tizio picchia sul muro e prova a urlarmi qualcosa. Io passo a Cowboys From Hell dei Pantera e gli insegno un po’ di groove. Voglio farlo impazzire.

Sento che non dice più niente.

Il giorno dopo ci riprova e riparto al contrattacco. Scelgo quella roba dissonante di South Of Heaven degli Slayer. Sento di nuovo le sue madonne, ma passo a Duality degli Slipknot.

Smette.
Non ha più ricominciato.

Passano giorni e settimane. Non ha fatto più casino. Certamente non avrei voluto impedirgli di esprimere la sua arte definitivamente, ma se con le buone zio non capisci che devi metterti dei limiti, ti rispondo con la Schecter a stecca.

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Ah no, nessun vicino si lamentava di lui e non ho mai capito perché. Dopo il lockdown ho trovato lavoro altrove e me ne sono andato.

Stay metal, stay foolish.

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