L'erba del vicino non è sempre più verde

Storie dal vicinato

Una famiglia di sociopatici

Il mio vicino è infame, ma non è uno: è trino. Padre, madre e figlia (ormai, credo, diciottenne) che io chiamo Vitalesta, perché l’educazione entra loro più in (quel posto) che in testa.

Quattro anni fa mi sono trasferita dove vivo. Come dico sempre, a me è toccato il pianerottolo dei “sociopatici”, quelli che non solo disturbano negli orari deputati al riposo ma, sapendo che risultano molesti, raddoppiano i rumori di proposito e sempre dalle 22 in poi (22:14 per l’esattezza, ci si può rimettere l’orologio).

La prima e unica volta che ho chiesto loro di fare piano e rispettare le fasce orarie (era mezzanotte e mezza, svegliata con principio d’infarto dal loro portone sbattuto e i loro schiamazzi e risa), mi sono sentita rispondere (da lui): “Ti dà fastidio il rumore? Insonorizza. Qui non c’è nessun regolamento e io in casa mia faccio quel che voglio. E adesso torna a letto, va’, va’” (con mano sulla spalla per accompagnarmi, sospingendomi, o tentando di farlo: l’ha ritratta quando gliel’ho fissata trucemente).

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Quando mi sono trasferita sono entrata in casa munita di feltrini da mettere sotto i mobili e le sedie, ma i Vitalesta non sono stati raggiunti da questa scoperta, che è anche segno di civiltà: sapendo che dall’altra parte del muro c’è la mia camera da letto, non li userebbero nemmeno se glieli regalassi (ma ho pensato di lasciar loro tre museruole quando me ne andrò). Così come hanno definitivamente abbandonato l’uso (comunque sporadico) delle pantofole a favore delle scarpe, meglio se con i tacchi. Una delle due donne (la madre o la figlia) la sera rientra intorno alle 22,30 (a volte anche alle 23,30) e attraversa lo spazio che va dal suo portone (opportunamente sbattuto, sempre, a tutte le ore, in entrata e in uscita, come quello del palazzo) alla camera con passi ben scanditi, per poi togliersi le scarpe tirandole contro una delle due pareti che condivido con loro. Una vera signora con l’apostrofo. E poi le discussioni, che si animano sempre intorno alle 23:20/23:40, con trascinamento potenziato di non so cosa a sottolineare i concetti (oppure giocano a scacchi sul pavimento con le sedie). Conosco tutti i loro fatti privati (se qualcuno è curioso: no, non fanno sesso, sono separati in casa, si odiano a colpi di mille decibel a litigio e immagino che restino insieme per la pargola, che li disprezza con dovizia di insulti). In tutto il palazzo si sentono solo loro.

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Da quattro sono costretta a usare i tappi per le orecchie ogni notte e tutti sanno che, da quella mia richiesta, si comportano male apposta (anche se, essendo di base cafona, si sforzano poco) ma nessuno fa nulla, se non venirmi a dire “non vorrei che pensasse che siamo noi a fare tutto quel rumore” (questo me lo ha bisbigliato la vicina di sopra, che non sento mai). Va detto che io sono l’unica in affitto, gli altri sono tutti proprietari e, magari, non vogliono litigare, dunque sopportano. Ho scritto molte mail all’amministratrice, inutilmente. Una notte ho telefonato ai vigili che hanno potuto solo darmi ragione, ma non intervenire. Ciliegina: una mattina la padrona di casa (abita in un palazzo accanto) mi ha chiamata dicendo che lui l’aveva fermata per strada per dirle che io do fastidio, ascolto la musica, sono matta e che, se non la smetto, chiama i carabinieri. La minaccia non mi impensierisce, ma serve a far capire il livello di maleducazione, perfidia e grettezza. E, sempre per chi fosse curioso, la musica l’ascolto di giorno, quelle rare volte che sono a casa (io lavoro, non sono mantenuta come la tipa), e a volume più che educato, quando non addirittura con le cuffie.
Con amara ironia, ho rinominato il posto “Twin Pieve” (giocando col nome della via e di “Twin Peaks”) perché questi eguagliano BOB la notte che ha ammazzato Maddy sbattendola ovunque.
Prima di restarci secca io, spero che l’agenzia immobiliare mi trovi una nuova casa.

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